In data 17 novembre il TAR del Lazio si è pronunciato accogliendo il ricorso che il CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) aveva mosso mesi orsono contro Assocounseling, il Ministero della Salute e il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Chi ha seguito in questi anni la nostra professione sa di una lunga e snervante contesa tra una parte degli psicologi e i counselor. La strategia adottata dai primi consiste nel mettere in campo una vera e propria trappola concettuale, decisamente scorretta: quella secondo cui il counselor lavorerebbe sul disagio psichico, mentre su di esso possono operare per legge solo psicologi, psicoterapeuti e psichiatri (le figure professionali attive in ambito medico-sanitario).
In tal modo si fa credere all’opinione pubblica qualcosa di falso. Il counselor, infatti, per definizione non svolge alcun ruolo clinico, né si arroga il diritto di guarire/curare persone che soffrono di disagi o disturbi psichici. Il paradosso è che, secondo questo pseudo-ragionamento, moltissime altre professioni di aiuto (educatori, assistenti sociali, operatori nelle case di cura, pedagogisti ecc. ecc.) sconfinerebbero quotidianamente nel trattamento dei “disagi psichici”, quando invece sappiamo bene che la relazione di aiuto si configura in tutti questi casi come un accompagnamento alla crescita e non come un intervento di ristrutturazione della personalità o di cura dei sintomi. Insomma: non ogni sofferenza umana può essere classificata forzatamente come psicopatologia o disagio psichico.
La sentenza di primo grado emessa dal TAR del Lazio, sebbene recepisca questa logica discutibile, nei fatti non cambia nulla per i counselor che praticano la relazione di aiuto. La sentenza verrà impugnata e per questo le Associazioni di Categoria stanno già preparando a loro volta un ricorso per difendere le nostre ragioni, portare alle luce le incongruenze degli psicologi e il diritto dei cittadini a scegliere il tipo di aiuto che desiderano ricevere.
Il pronunciamento del Tribunale non è dunque definitivo e risulta criticabile su molti punti a causa delle sue inesattezze.
Quello che ci preme comunicare, per evitare fraintendimenti, è che oggi non viene messa in discussione la legittimità del counseling, ma solo l’opportunità di iscrivere Assocounseling tra gli interlocutori ufficiali del MISE secondo le disposizioni della Legge n.4/2013.
La nostra Scuola è in contatto quotidiano con l’ASPIC nazionale e sta monitorando il processo. Possiamo essere fiduciosi, soprattutto perché i counselor attivi in Italia sono ormai più di settemila (7000) e perché la battaglia di retroguardia degli psicologi si infrange contro il diritto europeo in materia di libera concorrenza e contro il buon senso.
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Roberto Costantini e tutto il Gruppo ASPIC di Ancona