TENERO PIANTO

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di Roberto Costantini

Di solito associamo il piangere a qualcosa di negativo, come un lutto o una mancanza. In effetti questo aspetto è certo presente negli esseri umani e il pianto può segnalare in modo chiaro un senso di carenza e di perdita che, se debitamente affrontato, mette in moto azioni concrete per soddisfare i bisogni trascurati e riparare fin dove possibile il tessuto ferito delle relazioni. Tuttavia ci sono molte sfumature nel piangere: ad esempio la commozione che si apre in una tenerezza improvvisa per sé e per gli altri, rompendo la scorza di indifferenza e controllo che ci separa dalla vita. Quando entriamo in contatto con la tenerezza le lacrime assumono una connotazione particolare e ci aiutano a esprimere morbidezza e fragilità sane, favorendo un contatto più autentico con noi stessi. Questo cedimento, che è dolce e lenitivo, può accadere anche quando lo stress e gli sforzi quotidiani ci costringono a uno stop. Quando abbiamo trascurato troppo a lungo il nostro equilibrio psicofisico, per rispondere a tutte le richieste esterne dell’ambiente sociale, una lacrima può emergere per richiamarci a noi, evocando la necessaria presenza da darci, una presenza calda e tenera. Un’altra sfumatura ancora del pianto è quando esprimiamo un rimpianto per qualcosa che non c’è stato, che non abbiamo ricevuto nella nostra vita e che non possiamo più avere. Qui piangere non significa solo crogiolarsi nel dispiacere, bensì portare fino in fondo il lutto per ciò che, nella sua forma originale, non potrà tornare. Insomma, si piange perché siamo vivi e per “lasciar andare”.

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