Art-Counseling e Mandala

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Condividiamo dei frammenti selezionati dalla tesi che la counselor Donatella Pompei ha realizzato per concludere i tre anni del Master in Counseling ASPIC.

ART-COUNSELING E MANDALA

Nei suoi lavori Carl Gustav Jung definisce alcuni elementi formali ricorrenti che possono essere ricondotti ad un mandala: oltre alle figure circolari, ovali, a forma di rosa o ruota, anche figure con un centro a forma di sole, stella o croce da cui si dipartono raggi (4, 8 o 12, in genere) o le stesse figure rappresentate come rotanti (es. la svastica). Ancora: un cerchio costituito da un serpente avvolto ad anello o a spirale, un occhio, un castello, una città o recinto disposti a cerchio o a quadrato, una quadratura del cerchio, vale a dire cerchio in un quadrato o viceversa. Egli parla di figure che generalmente sono tetradiche (4 o multipli), e solo raramente costruite sul cinque o sul tre, rilevando anche come, sia nel mandala della cultura orientale che in quello occidentale, cerchio e quadrato si alternino spesso. In particolare il tema del quattro è visto come uno degli archetipi più importanti dal punto di vista funzionale, come archetipo della totalità in quanto la quaternità come unità è l’immagine divina per eccellenza (…).

Il mandala assume così quel profondo significato simbolico in cui chi compie l’opera non solo sta rappresentando un ritorno al cuore centrale dell’Universo (l’Uno da cui tutto ha origine), ma contemporaneamente rappresenta lo schema del passaggio dall’Uno al Molteplice e dal Molteplice all’Uno a cui lui stesso partecipa in prima persona, con la propria coscienza e consapevolezza: è allora che si attua un’ulteriore trasformazione per la quale il mandala da cosmogramma diventa “psicocosmogramma” (…).

Da questo punto di vista, la rivoluzione spirituale che avviene attraverso la pratica rituale è una reintegrazione di ciò che inizialmente si era esperito nel mondo fisico come molteplicità e separazione e, proprio per questo, all’origine di ogni percezione di qualcosa che manca e di ogni brama, fonti di sofferenza. In questo percorso iniziatico che coinvolge tutto l’individuo, inteso come corpo, psiche e spirito, l’esperienza della salvezza nell’armonia è dunque il fine ultimo: il mondo della pluralità – della psiche frammentata dalle mille sfaccettature che si incontrano attraverso la semplice esperienza sensoriale – conoscendo e sperimentando con occhi e cuore liberi, si dissolve e l’iniziato può allora tornare alla Sorgente che è esterna a lui, ma che è anche il proprio centro interiore, luogo sacro in cui microcosmo e macrocosmo si fondono. Per fare esperienza di questo processo, che consiste dunque nell’andare oltre le varie forme e divisioni che si manifestano nel quotidiano, il neofita si serve di pratiche e di immagini simboliche che rappresentano quelle forze della psiche che sono intrappolate nel mondo fisico. Una di queste pratiche è la costruzione di mandala grazie ai quali si percorre una sorta di cammino virtuale, attraverso simboli archetipici, che attingono dalle tradizioni popolari più antiche o che sono stati creati appositamente (…).

Il luogo fertile in cui mandala e counseling si possono incontrare è quello dell’art-counseling o counseling espressivo. L’arte, e l’espressione creativa che le è propria, sono entrate nella relazione di aiuto nella seconda metà del secolo scorso, grazie all’osservazione che individui psichiatrici con forti difficoltà a comunicare attraverso la parola (canale logico-razionale), si esprimevano meglio utilizzando il corpo o il disegno (canale analogico) (…).

L’art-counseling, fatte le dovute differenze per competenze e conseguenti limiti di intervento rispetto all’arteterapia, si muove in questo senso, a partire dalla psicologia umanistico-esistenziale, in un approccio multidisciplinare integrato che si basa sulla formazione di un esperto della relazione di aiuto che possegga, oltre a competenze comunicative e ralazionali, anche specifici strumenti di intervento in grado di creare un ambiente facilitante l’espressione di ciò che spesso è nascosto al soggetto stesso. L’arte in particolare è riconosciuta come uno degli strumenti principali per mettere un individuo in contatto con il proprio mondo interiore e per favorire la connessione tra mente e corpo (…).

L’art-counselor ha dunque competenze specifiche grazie alle quali è in grado di favorire la libera espressione di emozioni trattenute, attraverso una realizzazione pratica, in cui non conta il valore estetico di ciò che è stato realizzato (disegno, scultura, mandala…), quanto piuttosto il significato che l’esperienza ha avuto per chi l’ha vissuta e ha mobilitato le proprie risorse nel realizzarla. Questo comporta un altro fattore fondamentale: non c’è mai una significatività scontata di quanto prodotto, dal momento che essa va inserita nel contesto e nella vita espressiva e comunicativa del soggetto che ha creato l’immagine. Un elemento importante da sottolineare è dunque che, se nel counseling espressivo vengono usate le immagini come filo conduttore, non si andrà ad effettuare un’interpretazione simbolica di queste, quanto piuttosto ad elaborare l’immagine come manifestazione del soggetto che l’ha prodotta, con particolare riferimento all’area problema individuata in sede di contratto (…).

Ho imparato, per averlo sperimentato prima di tutto su di me, che lavorare con una struttura “mandalica” è un esercizio molto potente, una via espressiva molto forte e davvero insolita per chi, come generalmente avviene, usa soprattutto il canale logico-discorsivo che passa attraverso le parole, mentre il colore viaggia per altre vie immaginative e coglie di sorpresa molto più di tante “parole in libertà”. Occorre semplicemente esser disposti a lasciarsi coinvolgere, con la leggerezza di un gioco. Ora, disegnare un mandala dal nulla può essere complicato, in quanto mette molto in difficoltà chi ritiene di non saper usare bene matita e colori, mentre una struttura già pronta e finalizzata nella sua forma al lavoro che si vuol fare, agevola le cose e consente altrettanto bene di far emergere quello stato emozionale che più preme nel qui e ora. In genere quindi ritengo molto funzionale usare strutture già fatte: io per la maggior parte propongo quelle delle mie insegnanti. Nello stesso tempo però non escludo la possibilità di stimolare l’utente a disegnarne lui stesso, naturalmente se è disponibile a farlo, così come l’ho sempre proposto ai gruppi con cui ho lavorato, quando si era ormai “iniziati” alla tecnica. Credo davvero in questa possibilità che viene data alla persona di sperimentarsi con uno strumento che può essere molto valido, ma naturalmente è sempre lei che sceglie se esplorare o meno questa opportunità (…).

La mia esperienza con il mandala è stata di amore a prima vista. Come in tutte le storie che si rispettino, però, strada facendo si sono manifestate le difficoltà nel gestire la relazione con determinate persone che ho incontrato e in situazioni ben precise. Non tutto è subito andato come prefiguravo nelle mie aspettative. È stata piuttosto una lenta e progressiva conquista, a volte con errori e correzioni, altre volte con conferme entusiasmanti e la volontà di procedere con uno strumento di cui sempre più vedevo le potenzialità. I mandala che ho colorato, a partire dal primo, sono stati essi stessi un percorso di crescita per me, in cui ho avuto modo di vedere come i miei colori cambino se mi trovo a colorare con altre persone o da sola (…).

 

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